Uno specchio “fastidioso”

Carissimi fedeli,

a volte non è così semplice “guardarsi allo specchio”: potrebbero capitarci situazioni nelle quali siamo tentati di “sputarci in un ecchio!”, cantava Renzo Arbore: non accettiamo le nostre rughe e i capelli bianchi, la stanchezza che emerge dal nostro volto o i segni di cicatrici che la vita e le sofferenze ci hanno procurato.

Volendo commentare con voi le letture bibliche di questa XXX Domenica faccio ricorso a questa immagine, perchè il cieco Bartimeo è, per i discepoli prima e oggi per noi, veramente come uno specchio, in cui guardarsi dà un po’ sofferenza: egli infatti a questo punto del cammino del Vangelo secondo Marco mette a nudo le povertà-cecità dei discepoli, incapaci di mettersi in cammino dietro Gesù da credenti, rappresentando per tutti l’esempio del discepolo, che con gli occhi della fede, “vede” Gesù come Figlio di Dio, compimento delle promesse dei tempi del Messia atteso e, guarito anche nel corpo, si mette a seguirlo lungo la strada che porta a Gerusalemme.
L’Evangelista lo pone qui come modello per i discepoli, prima che Gesù cominci la salita verso Gerusalemme, loro che, invece, “hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non odono”; per questo ho ritenuto di donargli la funzione non proprio “simpatica” di procuratore di “benèfici fastidi”, perchè appare agli occhi del mio sguardo interiore che per compiere un vero cammino di fede, da discepolo cioè, Bartimeo dica, con la sua presenza e i suoi gesti, che innanzitutto siamo chiamati a riconoscerci quello che siamo e cioè “ciechi”, desiderosi di luce.

Oggi soprattutto non mi sembra così facile e ovvio riconoscerci “ciechi”, attraversati da un desiderio enorme e inarrestabile di vedere; in noi è molto forte la propensione a dire a noi stessi innanzitutto: “io ci vedo benissimo da solo”, “io non ho bisogno della luce di Dio, io non ho necessità che qualcuno che vede un po’ meglio di me, comunque guarito, mi prenda per mano e mi indichi con consiglio fraterno e paterno la strada buona”, “so fare da solo e (purtroppo) vivere da solo”.

Carissimi e carissime, guardiamoci nello specchio Bartimeo e diciamo con onestà a noi stessi quello che siamo: “io sono un cieco, io non sono salvo, io non so vivere, io non sono saggio”. A chi è cieco e riconosce che nel suo cuore c’è la Stella che ci orienta, il ”Siderus”, il “Desiderio”, viene incontro una vecchietta, anche lei cieca, che si offre per guidarci prendendoci per mano e ogni tanto orientandoci con la voce o spingendoci a salire verso il monte dove, tra i cipressi, c’è la Croce: è la fede, scrive Trilussa! Scrivo io: lasciamoci umilmente prenderci per mano anche dalla Madre Santa, la Chiesa, soprattutto quando nei momenti di smarrimento avvertiamo più forte questa cecità, perchè non perdiamo le nostre anime nei vicoli stretti e bui di questa vita!

Chiediamo a Dio tanta umiltà e poi anche tanta fede. Questa virtù teologale, ci guardiamo ancora nello specchio-Bartimeo, non può condurci a nasconderci nella massa anonima quando passa Gesù e ci chiama, nè ci fa stare tranquilli e dire “ho vergogna e timore”, “non voglio apparire diverso dalla massa anonima”, quando Lui passa vicino e ci guarda con tenerezza di Amore di Padre. Potrebbe non passare più…la chiamata, il dialogo d’amore personale, il colloquio intimo e profondo con Lui, le lacrime, l’ascolto, l’Amore inenarrabile, la Resurrezione, la vita nuova, il mietere nella gioia dopo le lacrime, il tornare, portando i covoni del raccolto, gli occhi che vedono i fratelli e le sorelle, nonchè i segni infiniti del suo Amore, i nostri occhi di ciechi che vedono con gli stessi occhi di Gesù e di Maria… la fede: dono immenso e immeritato! “Tutto ho ritenuto spazzatura”, scrive San Paolo, “tutto ho gettato”, pensa Bartimeo, anche il mantello, la mia unica ricchezza e sicurezza, balzo in piedi, saltello con il cuore a mille andando verso Gesù: ti chiama! Mi chiama: che onore! Chiama proprio me, vuole proprio me, non altri, con le mie cecità ed oscurità: ma per farne cosa? Un discepolo che lo segue con amore, offrendoGli i propri occhi inadatti a vedere, perchè possa vedere il mondo, la storia e l’umanità tutta con i Suoi occhi e prestandoGli il proprio cuore freddo, perchè Gesù possa amare con il suo Divino e Infuocato Cuore, dentro quel cuore umano e gelido. Nessuno mai mi ha guardato come mi guarda ora il Messia, restituendomi la Grazia di camminare dietro di Lui verso la Croce, da discepolo fedele e vedente.

don Luigi, servitore vostro

27 ottobre 2018, gregorio-de-stefano